cameraVideo 2010 a Palazzo Ducale
Inerti di fronte alla rovina

recensione di Jizaino, 4 dicembre 2010


cameraVideo
Palazzo Ducale - Sala Dogana
Piazza Matteotti 9 - Genova
5-16 dicembre 2010
orari: martedì - domenica 14.30-19.00
ingresso libero
http://www.gg6.comune.genova.it/dogana[]>
http://www.fondazionemarch.org/[]>


Premessa

La seguente recensione è il terzo articolo che questo sito dedica alla Videoarte, la quale è ormai uno degli strumenti espressivi più diffusi e alla portata di chiunque, sia dal punto di vista economico che, volendo, nella padronanza tecnica. La Videoarte pertanto è un medium attraverso il quale esaminare efficacemente la più contemporanea e spontanea espressione degli artisti, ovvero la loro risposta alla società che li circonda, anche grazie alla multimedialità dello strumento. Ponderando la contemporaneità si può quindi indagare il futuro, ossia domandarsi in quale direzione sta andando la società.

CameraVideo, Festival itinerante internazionale di Videoarte curato dalla Fondazione March di Padova, è arrivato a Genova, attualmente l'ultima di sei tappe internazionali. Il carattere internazionale del Festival (nonostante che le opere presenti siano quasi tutte italiane) e la doppia selezione che costituisce il corpo di questa mostra collettiva, dovrebbero garantirci uno spaccato eloquente e significativo della giovane Videoarte contemporanea: vediamo cosa propone.


La mostra

Lo Spazio Dogana - Giovani idee in transito, ospita nei suoi variegati spazi, una selezione di sedici video a cura della Fondazione March, per un totale di 131 minuti di proiezione. Nove video vengono riprodotti in sequenza con un videoproiettore e audio libero, mentre gli altri hanno una postazione video individuale con audio in cuffia; tranne uno, che viene anch'esso proiettato con audio libero, il quale purtroppo va a creare una disturbante cacofonia con l'altra videoproiezione adiacente.
L'immancabile rinfresco inaugurale, nella città di Genova, non poteva che essere a base di focaccia.


Opere e Artisti

Seguendo il percorso espositivo si viene inizialmente accolti dall'opera "B(m)" di Marco Strappato, 79 secondi di spezzoni presi dal documentario "Blind Child" realizzato nel 1964 da Johan Van Der Keunen, in cui alcuni ragazzi ciechi corrono nonostante il loro handicap. In questo caso l'Artista non crea, ma per esprimersi cita e riutilizza ciò che lo ha preceduto, evidenziando il saliente con l'omissione; come le cancellature di Emilio Isgrò;


Marco Strappato,"B(m)"
bianco e nero, 1’19", Italia, 2009
(still, courtesy of the Artist)

Nella stessa sala troviamo la prima tranche di video proiettati.

Anche "Perduta visione" di Virginia Serpieri Eleuteri realizza un'opera frankensteiniana con pezzi di vecchi Super-8, brandelli di memorie intimistiche, un nostalgico collage di scarti del passato.
Alessandro Ambrosini propone "Fateless" (letteralmente: "senza destino"), un'immobile, minimalista e sfocata osservazione su di un panorama tanto esteso quanto privo di amenità, tanto da assumere, come il video precedente, un valore microscopico e intimista, in cui si annidano l'indeterminazione, l'incapacità di giudicare, il nichilismo e la mancanza di volontà.
La stessa carenza nichilistica sembra sublimare dal video successivo: "Walking" di Nicola Genovese, che esprime dichiaratamente i dubbi sulla capacità degli uomini di affrontare una realtà fisica al quale si sono ormai disabituati.
Anche "Safely unknown" di Micol Roubini utilizza "scorie" di un passato, ma contemporanee, ossia ambienti abbandonati che si sono cristallizzati nel tempo rendendoci l'illusione che anche il nostro presente vissuto sia solo un'immagine, e in realtà sia già morto; visione desolata e distaccata di una realtà insostenibile.
L'opera "Inner Klaenge" nel lineare stile Lowbrow dello studio Lemeh 42 conferma ancora il "chiudersi" (per quanto possa essere considerato tale l'esposizione al pubblico un'opera) all'interno di una propria dimensione intimista, con un surrealismo metafisico che può essere tipico dei giochi di un bambino o di un adulto che abbia una mente ancora libera, il quale però non cerca spiegazioni o risposte, ma assiste da spettatore inerme a quanto avviene in torno a lui.
Anche Lucilla Pesce interviene sulle vestigia del passato, andando a dare rilievo a eventi e memorie di un vissuto umano che da un punto di vista universale può avere solo un personale valore nostalgico o romantico; la sua opera "Grazie dei fiori", al limite del documentaristico, è dedicata a una fatiscente e abbandonata struttura balneare costruita in Sardegna negli anni '50 dove ebbe a esibirsi anche la cantante Nilla Pizzi: un nostalgico scavare tra le ceneri di un passato.
Cambiando solo temporaneamente la prevalente lirica nostalgica, il video "Paesaggio composto #3" di Francesco Bicchieri compone un collage animato di panorami urbani su cui prevale la rappresentazione asettica della realtà apparente del caos edilizio in un continuum apparentemente acritico e distaccato.
Con la chiarezza esplicita e propositiva delle parole, Valentina Curandi e Katz Nathaniel, con l'opera "New natives", ripropongono il mai sopito desiderio di vivere in una società umana migliore, totalmente diversa da quella attuale; che però forse si spegne nell'espressione artistica asettica, rischiando al contrario di confinare l'ideale condizione nella solita utopia, invece che concretizzarsi in qualcosa di visibile, tangibile e attraente per gli osservatori che aspettano solo l'esempio dei più temerari.
Tornando all'intimistica nostalgia del passato, "La scena emisferica" di Riccardo Giacconi e Daniele Zoico è un documentario casalingo in stile "le mie vacanze" addobbato con una presunta e altrettanto nostalgica ricerca a tema sportivo consistente in vecchie scene di atletica prese da YouTube; il video dura sedici interminabili minuti: l'ho guardato tutto solo perché non avevo scelta. Se mai, questo documentario che trovo estraneo al contesto artistico, potrebbe essere interpretato come una parodia della ricerca di pretesti, per mancanza di sproni personali, con cui molta gente decide di fare viaggi turistici.

Spostandoci nella sala adiacente veniamo finalmente a conoscenza di dove provenga la "disturbante" e sovrastante sinfonia di archi: la videoproiezione di "Local boys" di Pietro Mele: un video che emula le opere in slow-motion di Bill Viola imperneate sulla figura umana; il video presenta, negl'intenti concettuali tipici dell'autore sardo, ragazzi appartenenti a un contesto provinciale e vagamente violenti, a causa della loro condizione esistenziale che è causata dallo scontro tra una troppo repentina modernità e una radicata tradizione.
Accanto troviamo "Messia machina" di Alisa Vostiklap, un concreto quanto surreale episodio di vita umana che si misura con la propria incapacità di migliorare la propria esistenza, neanche seguendo le istruzioni; un'umanità strampalata quanto la stessa opera, da cui si potrebbe dedurre che l'artista provi empatia per tale umanità.

Un altra parentesi nel contesto romantico della mostra la offre "SPAM the musical (The lottery)" di Boris Eldagsen, un video tecnicamente ben impostato ma di giovanile freschezza goliardica, realizzato dando immagine ai messaggi di spam che giungono in e-mail.
In "The show must go on", Diego Caglioni sviluppa il tema dell'inerte osservazione di un inesorabile cambiamento, con inerme e nostalgica malinconia, nonostante l'esplicito disprezzo: il pianto sulle care buone vecchie cose perdute diventa ormai quasi pretestuoso nella ricerca di qualche buona idea per un'opera.

Ancora, "Synchronisation" di Rimas Sakalauskas va a scavare nostalgicamente nelle memorie del passato, ma in questo caso l'interessante e accattivante realizzazione tecnica trasforma i monumentali relitti del passato sovietico dell'Artista in qualcosa di nuovo, affascinante e inquietante, una misteriosa realtà che diventa metafisica ed estraniante.


Rimas Sakalauskas,"Synchronisation"
colore, 8’04", Lituania, 2009



Per ultimo ho voluto lasciare l'opera "Kindergarten show 1991/2009" di Alessandra Messali, della durata di 45 minuti, che mette a confronto una recita di bambine dell'asilo con la stessa recita messa in scena dopo diciotto anni dalle stesse, ormai grandi, ragazze. Questo video sembra concludere il discorso iniziato coi ragazzi ciechi che corrono, e potrebbe definire il contenuto complessivo espresso dall'unità delle opere presentate in questa mostra. In qualità di panorama sulla condizione esistenziale della società contemporanea, sembrerebbe delinearsi una condizione di eterna infanzia, di mancanza di voglia di agire, incapacità o paura di affrontare e cambiare la realtà sociale, o forse una totale incapacità di saperla anche solo cogliere, tanto si è illusi dalle carezzevoli "sicurezze" che essa promette, o forse di non volerla vedere per meglio rifugiarsi nel caldo e rassicurante mondo virtuale della nostalgia per le care vecchie buone cose di una volta: il difetto che spesso si biasima ai vecchi. O ancora una rinuncia a perseguire gli ideali quando, guardando ai fallimenti di chi ha già provato, si percepisce l'agire come vano.


Alessandra Messali,"Kindergarten show 1991/2009"
colore, 45’, Italia, 2009



Conclusioni

Gli autori presentati in questa mostra sembrano evidenziare una preponderante attenzione della giovane arte per il passato, sinonimo di rifiuto e freno alla modernità che sembra avere preso un passo troppo frenetico e azzardatamente pericoloso.

Questa selezione di video ha troppe presenze che sconfinano pericolosamente nel documentaristico. Inoltre, mettendo da parte gli aspetti tecnici (non assolutamente necessari), una vera pregnanza artistica è presente in poche delle opere presenti. La Videoarte non deve confondersi con la mera produzione di un video.

Jizaino -


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