Rapallo Fotografia Contemporanea 2011
Una recensione cumulativa

recensione di Jizaino, 15 gennaio 2011


Rapallo Fotografia Contemporanea
5ª edizione
- Ritorno alla fotografia
Antico castello sul mare - Rapallo (GE)
dal 15 gennaio 2011 al 13 febbraio 2011
orari: martedì - domenica 10.30-12.30 e 14.30-17.30
ingresso libero
http://www.rapallofotografiacontemporanea.it/[]>

Premessa

Ho avuto l'occasione di visitare quasi tutte le edizioni di questo piccolo festival, lontano dalle grandi kermesse metropolitane di fotografia.
Rapallo è una nota cittadina della Riviera ligure, che ha accolto soprattutto nel passato un turismo d'alto livello, anche culturalmente, grazie anche alla vicinanza con la tanto mitizzata Portofino.
Visitare Rapallo fa sempre piacere, col suo tipico castello (tuttavia lugubre ex carcere) piantato nel mezzo della baia, e il classico porticciolo rivierasco; ma frequentando la sua passeggiata a mare si ha l'impressione, con tutto il rispetto per qualsiasi persona e le diverse condizioni di vita, di camminare in una corsia d'ospedale geriatrico, o essere nel mezzo di un pellegrinaggio verso Lourdes; difatti il posto è caratterizzato da un'elevatissima età media e notevole concentrazione di disabili; ciò è quantomeno strano, siccome la qualità della Riviera di essere utile contro le malattie "continentali", a Rapallo si ribalta, visto l'alto tasso di smog veicolare unito alla peggiore situazione climatica della Riviera di Levante, con scarsa ventilazione, inferiore irradiazione solare e alta umidità.

Il motivo che mi ha spinto a visitare molte delle edizioni del festival è che rimasi favorevolmente impressionato dalla prima edizione che si svolse nel 2006, ancor prima che questo sito prendesse forma.
Questa recensione è quindi cumulativa e vuole tirare le somme su ciò che ormai si può ritenere un appuntamento culturale fisso della Riviera ligure.


La tavola rotonda e la mostra


Anna Positano, "Cut", 2010
C-print, 40 x 40 cm


Questa recensione sarà priva di immagini, tranne la foto di apertura, sia perché ho apprezzato il suggerimento del direttore artistico Alfredo Cramerotti di parlare una volta tanto di fotografia senza mostrare fotografie, sia perché personalmente non saprei cosa scegliere.

Questo evento ha ormai perso il titolo di festival, con cui era stato promosso nella prima edizione; per la limitata estensione dell'esposizione è più consono definirla una mostra collettiva.

L'inaugurazione è stata preceduta da una tavola rotonda, piuttosto interessante, in particolare per l'appassionata partecipazione della piccola platea.
Tra gli argomenti affrontati dai relatori spiccano i seguenti.
• Presunta crisi o paventata morte della fotografia.
• Ibridazione dello strumento fotografico, ossia media convergence eccetera.
• Nadia: la sperimentale macchina che valuta l'inquadratura di una scena, ossia qual è il destino del fotografo?
• La "fotografia artificiale", ossia realizzata sinteticamente, per mezzo di computer.

Trovo questi argomenti mancanti di un concetto essenziale: ma l'Artista è forse morto?
Il mezzo è l'Artista, l'importante è la persona; la tecnologia fotografica è solo uno strumento.
Nel contesto dell'Arte contemporanea, molti di coloro che si possono denominare "fotografo-artista" (valido d'altronde per quasi tutte le discipline artistiche) soffrono ancora di una sottomissione alla tecnologia, ossia si preoccupano primariamente dell'adeguatezza dello strumento, sentendosi parte infima di esso, ormai quasi accessoria e volendo sacrificabile.
Come si rivela negl'interventi del pubblico, questo atteggiamento di riverenza per la tecnologia, si conclama nell'autodefinirsi "fotoamatori", involontariamente, nonostante si cerchi di parlare di Arte, o volendo di professione: la persona si identifica nello strumento.

Come sempre sostengo, in primo luogo vi è la persona e la sua espressione, non lo strumento e la capacità di dominarlo.

Inutile dire che Nadia, la macchina "che pensa l'inquadratura così non avrete bisogno di farlo voi", è solo un altro strumento, e tale rimane: non c'è bisogno di temerlo se si accoglie il concetto che prima viene la persona e la sua espressione; perché questo strumento può indicare se un'inquadratura sarà ottima o pessima secondo certi arbitrari canoni, ma sarà sempre nostra la scelta di un'inquadratura ottima o pessima.
Il fotografo non ha l'obbligo di adeguarsi alla necessità, più o meno commerciale, di realizzare immagini perfette; questo è un concetto molto importante: la capacità o volontà di "sbagliare" (o meglio, di cambiare, di essere imprevedibili) è al principio dell'evoluzione del Cosmo intelligente, ossia ciò che ci rende vivi.
Ovviamente per fare ciò l'Artista deve anche emanciparsi dalla sottomissione al virtuosismo tecnico, di cui parlo spesso.

Anche gli altri argomenti, la fotografia di sintesi e l'ibridazione dello strumento fotografico (iPhone, cellulari con fotocamera, eccetera), confermano questo atteggiamento nichilista del fotografo-artista, del fotoamatore, di fronte alla tecnologia.

Tornando alla mostra, la prima edizione fu molto evocativa: un'esposizione che narrava molto, che mostrava anche (non solo) quel gusto prettamente "fotoamatoriale", ossia la volontà di presentare fotografie belle a vedersi di primo acchito, che colpiscano (il che di certo non guasta mai), realizzate con quella sensibilità nel documentare il mondo, con quello zelo, intuizione e capacità che forse sono prerogative non tanto dell'Artista, quanto proprie del "fotografo-artista" e del "fotoamatore".
In quell'edizione, la forte narrazione nelle immagini coi grattacieli di Marco Citron, le austere atmosfere urbane di Marco Introini e il metafisico straniamento dei cartelloni vuoti di Maurizio Montagna, mi convinsero a visitare nuovamente le seguenti edizioni, le quali però, a mio parere, hanno perso progressivamente quel fascino.
Sarà forse un segno dei tempi, ma le opere presenti negli anni successivi sono progressivamente diventate più asettiche, avare di anima e contenuto, forse per volersi addentrare in quel mondo cerebralmente più sofisticato che è l'Arte contemporanea; presumibilmente per quell'innata incapacità del suddetto fotoamatore di interagire con la vita reale se non tramite lo strumento tecnologico, quelle opere sono via via diventate povere e pedisseque vacuità di contenuti.
In questa 5ª edizione, anche il discorso sulla ricercatezza concettuale dell'Arte contemporanea decade nelle fotografie di Vittoria Garibotti, le quali trasformano il minimalismo antiestetico proprio dell'Arte Concettuale in un vuoto di argomentazioni: le piccole stampe con scene di vita quotidiana, realizzate con cellulari o altri strumenti da media convergence, nulla aggiungono alla vita e alle memorie personali di chiunque, e sono attaccate nude ai tabelloni con del nastro adesivo. Esse sviliscono ulteriormente i contenuti già poveri, giustificati per opportunismo durante la tavola rotonda con l'argomento dell'ibridazione fotografica; ancora si evidenzia ulteriormente l'eccessiva attenzione fotoamatoriale per la tecnologia a discapito del messaggio, della persona o dell'Artista.

Il timore per l'obsolescenza dello strumento delineatosi nel dibattito (ossia la paventata crisi o la morte della fotografia), si rivela anche nelle opere di Simone Bergantini, le quali, pur rimanendo nell'ambito del significato etimologico della parola "fotografia", sono realizzate senza l'uso di una macchina fotografica, ossia impressionando direttamente della carta sensibile in camera oscura: niente di nuovo, in pratica le notorie Rayografie di Man Ray (o i Fotogrammi di László Moholy-Nagy).

Charlotte Dumas domina questa 5ª edizione coi suoi interessanti ritratti di cani da lavoro, i quali sono allineati sia nell'estetica che nei soggetti con una certa tendenza dell'Arte contemporanea; non mi sento di encomiare totalmente il lavoro di quest'Artista per via della decennale dedizione a quest'unico soggetto: solitamente, come è noto, questo comportamento viene presunto necessario per potersi imporre nel mercato dell'arte, imponendo una riconoscibilità immediata dell'autore, ma che ne limita ovviamente la libertà d'espressione e d'azione.

Della 3ª edizione della mostra ricordo con piacere le potenti immagini sull'Armenia e il suo popolo realizzate da Nanda Gozague e la rivelazione di altre realtà umane di Andrea Dapueto.

Nella 4ª edizione ho ammirato attonito i "Campi di Battaglia" pregni d'anima di Giorgio Barrera.


Conclusioni

La mostra è gratuita, quindi non c'è male a visitarla.
Trattandosi di una mostra dedicata alla fotografia, e nonostante le mie considerazioni sull'espressione artistica in genere, è auspicabile che le prossime edizioni siano più incentrate sul gusto per lo stupore che evoca l'immagine fotografica, ovviamente senza dimenticare i contenuti.
Come succede spesso nelle mostre di questo tipo, la personalità individuale degli Artisti è sacrificata per carenza di un adeguato approfondimento.


Jizaino -